intervista di Claudia Pettinari

Mario Vespasiani - Mondi Possibili - intervista di Claudia Pettinari
Di Mario Vespasiani (Ripatransone, 1978) sicuramente non si può negare che sia un artista che non si mette in gioco: dopo i confronti con l'arte di due grandi maestri come Licini e Schifano (rispettivamente nelle esposizioni del 2010, “La Quarta Dimensione nella Pittura di Osvaldo Licini e Mario Vespasiani” a cura di Stefano Papetti, e del 2008, “La Quarta Dimensione nella Pittura di Mario Schifano e Mario Vespasiani, a cura di Gianluca Marziani), ora affronta la fantasia di un gruppo di bambini del terzo, quarto e quinto anno della scuola primaria. Il risultato è esposto negli spazi romani della Galleria Artsinergy, che per la seconda volta ospita le opere del nostro artista. In mostra, oltre alla nuova produzione dell'artista, una serie di disegni realizzati dai bambini della scuola primaria di Montottone, ai quali è stato chiesto di fare un viaggio immaginario in un mondo tutto loro e di disegnarne una mappa, allo scopo di renderlo reale e visibile; quindi possibile. A curare la mostra un curatore d'eccezione: Franco Salvatori, presidente della Società Geografica Italiana, che ha sostenuto il progetto di Mario in nome di una riscoperta della discipline geografiche.
Claudia Pettinari: come nasce e come mai l'idea di un laboratorio con i bambini da portare poi in galleria vicino alle tue opere?
Mario Vespasiani: Le cose avvengono in modo spontaneo e posso dire che lavorare a fianco di grandi maestri o di ragazzini trasmette la stessa sensazione se si va in cerca dell'energia vitale. Noi viviamo un momento di transizione, di fragilità come di contaminazione di linguaggi e ciò implica un corpo a corpo col nostro quotidiano: alcuni intravedono in questo scontro solo una gran confusione, altri ne approfittano per prendere scorciatoie o per lamentarsi, a me interessa sviluppare un'attitudine che si irrobustisce col fare, col vivere aperto verso l'altro, col mettermi continuamente alla prova per superare quelli che fino a ieri erano ritenuti dei limiti o delle paure. Ogni mostra deve spingere più in là il confine e l'arte essendo un gioco serio chiede una responsabilità illimitata come una voglia di meraviglia. Durante il laboratorio didattico ho cercato di focalizzare l'attenzione sul momento presente, perché solo tracciando una mappa intima e universale insieme si diventa pionieri capaci di dare forma a luoghi, relazioni e progetti di vita. Progettare qualcosa insieme ai bambini ha significato condividere quell'esperienza che normalmente avviene all'interno dello studio e che muove la mia ricerca concettuale.
C.P.: come hai conosciuto Franco Salvatori? Gli hai proposto tu la cura di questa esposizione?
M.V.: Nel corso del tempo nei miei cataloghi ho affiancato alle testimonianze critiche dei contributi di studiosi di altre discipline per offrire una lettura su più livelli del lavoro pittorico e perché sono sicuro che, nonostante sia evidente uno scollamento tra l'arte contemporanea e gli intellettuali italiani, tali possibilità di confronto e di studio possono aprire nuove strade e fornire inaspettate intuizioni. In Franco Salvatori, oltre la stima ed il ruolo di assoluto prestigio che ricopre, ho trovato la persona più adatta, anche a livello umano, per introdurre un tema così attuale come quello della fluidità delle coordinate geografiche, ma anche così penalizzato dalla scuola dei nostri giorni.
C.P.: le tue opere vogliono essere dei piccoli “spot” verso un cosmo immaginario, come se da piccoli oblò si osservano questi momenti colti nel loro svolgersi: l'esplosione di una supernova; piccole galassie, ecc. Letta in questo senso questa tua fase la si può ancora considerare figurativa, ritratto di un mondo che potrebbe esistere?
M.V.: Noi siamo osservatori dell'universo ma al tempo stesso frutto dell'universo e gli elementi di cui siamo fatti derivano più da queste stelle esplodenti che dai nostri genitori. L'arte secondo me, deve mostrare l'aspetto mistico e sacro della vita in modo da trasmettere quella sensazione di appartenenza col tutto. La vista come l'olfatto scavalca il pensiero e se le capacità analitiche vanno in cortocircuito nell'oscurità o negli abbagli di luce allo stesso modo le opere non tendono a definire quanto a ispirare, al pari della musica si collocano nel mondo dell'infinito e del dubbio. Perciò se attirando la nostra attenzione ci toccano è solo perché rispondono ad un bisogno emotivo.
C.P.: l'anno scorso hai utilizzato l'arte come strumento d'indagine per creare una mappatura di un sistema invisibile che collega pensiero umano e natura. Con questa mostra cerchi di dare suggerimenti di mondi alternativi che potrebbero esistere. Ci sarà uno sviluppo ulteriore in futuro di questa tua ricerca esoterica?
M.V.: Dobbiamo essere cauti quando si parla di esoterismo. Alcune forze sono molto pericolose ed è bene starne alla larga, preferisco fare riferimento a una certa spiritualità, perché religioso è il fondamento del mio lavoro che si lega ai temi universali del destino umano e del significato dell'esistenza. Credo nella pratica quotidiana della pittura come una preghiera e forse per questo dentro lo studio mi sento come un monaco che alterna la disciplina alla fede assoluta in qualcosa di invisibile. La regola consiste nel mantenere la vigilanza per scorgere segnali ovunque e per poi raccogliere come un palombaro, ciò che si trova in zone di poca visibilità. Lo scorso anno presentai un progetto che era una sorta di percorso che doveva accompagnare lo spettatore da un punto zero alla formulazione di una visione: anche se aveva un'impostazione più scientifica lo stesso metodo conduce ad oggi, all'interno di questi scenari naturali, i quali come fossero apparizioni di luoghi reali o immaginari, prendono forma da nubi e foschie, evolvendosi nel vuoto. Nessun senso nostalgico di loghi perduti, ma l'evocazione di uno spazio mentale, presente e accessibile. Pur partendo da elementi di riconoscibilità formale, chiedo al pubblico di cogliere solo i dati fenomenici primari, più che l'aspetto meramente naturalistico.
C.P.: come mai la scelta del velluto?
M.V.: Credo che non sia stata una scelta voluta quanto una necessità di vedere come reagivo al cambiamento, che in questo caso riguardava il supporto: ero incuriosito del semplice piacere di provarci, di mettermi alla prova accettando anche il rischio di farmi male. Voglio usare le infinite possibilità che ho tra le mani alternando equilibrio a istinto, progettazione a improvvisazione. Il vero artista (il vero uomo) credo sia colui che dona continuamente se stesso, che spinge per espandersi in miriadi di combinazioni, che è cosciente del suo potere, inteso come possibilità di fare e non di prevaricazione sugli altri. La sua forza sta nell'energia che trasmette e nella libertà di poter scegliere. La sua bussola è puntata su ciò che fino ad ora sembrava sconosciuto, il suo sguardo è brillante. Se questa è la direzione sono dunque chiamato in prima persona a sperimentare e come dicevo ai bambini, a diventare pioniere.