intervista febbraio 2012



Intervista di Sara Petraccelli a Mario Vespasiani

Potresti presentare te stesso in breve?
Mario è uno dei nomi italiani più diffusi, di derivazione celtica, ma nel mio caso arriva dall’Oriente, quando nei primi anni del ’900 un prozio gesuita mentre era missionario in Cina seguendo il solco aperto da Padre Matteo Ricci, venuto a conoscenza della nascita di un bambino (che poi sarebbe diventato mio nonno) decise per conto dei genitori tale nome di battesimo. Io l’ho ereditato nel 1978 in memoria di questo nonno scomparso cinque anni prima e di un prozio mai conosciuto. Una storia dunque che arriva da lontano, cui sto cercando di ricostruire la trama, fatta di fede e grandi esplorazioni, di colori e passione per la vita, come di una voglia di scorgere i confini del mondo sensibile e sovrasensibile.

Chi sei e cosa fai?
Mi sono sempre sentito un pittore ma è stato chiaro negli anni dell’Istituto d’Arte.

Perché?
Possono bastare una decina di motivi?
Primo: perché penso che questo sia un dono e per mia natura non sottovaluto mai le cose che mi vengono offerte.
Secondo: perché faccio qualcosa che mi piace, qualcosa che aggiunge pregio al mio tempo e che col passare degli anni diventerà l’estensione naturale di un modo di essere, tra “irresponsabilità” e coraggio. L’artista è un po’ come quel cucciolo che appena nato non si regge in piedi e compie uno sforzo pazzesco per sopravvivere, ma poi non appena supera quel momento riesce ad eseguire gesti incredibili con una naturalezza inaspettata.
Terzo: perché sono curioso e l’arte è una domanda sul mondo e la domanda è l’espressione suprema dell’uomo.
Quarto: per saper cogliere la rosa del sublime nella croce della volgarità quotidiana.
Quinto: perché voglio condividere ciò che avviene in solitudine e perché la gioia vera è relazionale. E per di più viene sottratta molto presto se uno decide di tenerla per sé.
Sesto: perché voglio fare in modo che gli occhi non siano costretti a una visione del mondo senza speranza e che l’uomo a differenza di quello che ci viene proposto, non venga considerato una cosa priva di senso.
Settimo: perché la creazione di un proprio mondo è qualcosa di incontenibile e imprevedibile, anche se a volte è difficile in genere è un’autentica rivelazione.
Ottavo: specie per la piega che sta prendendo la nostra società è fondamentale essere certi della propria identità, perché solo avendo un codice etico ed estetico potremo tornare ad essere uomini commossi non uomini riverenti.
Nono: per cambiare il punto di vista sulle cose, per guardarle con attenzione e con coinvolgimento, perché come insegna la vita nella natura selvaggia bisogna stare all’erta per cogliere le occasioni migliori.
Decimo: per cercare di essere all’altezza del compito che mi è stato assegnato e l’esempio non è uno dei tanti metodi per educare o insegnare qualcosa a chi mi osserva, è l’unico.

Il lavoro che hai fatto e se c’è, che ti rappresenta maggiormente?
Tutto il mio lavoro mi rappresenta. Ho trattato i principali generi pittorici, cambiato tecniche e supporti, ma lo stile rimane sempre uno, come unico è l’universo che le opere formano.
Ho preferito la suddivisione per cicli, per affrontare e quindi presentare meglio un certo argomento senza divagare tra miriadi di stimoli e contaminazioni che di volta in volta lo hanno determinato. Penso che la maniera migliore di comprendere il mio percorso sia di rileggerlo nell’insieme, ma sono sicuro che col passare del tempo, specie quando avrò avuto modo di unire tutte le coordinate, questo avverrà in maniera automatica e lo spettatore verrà immediatamente proiettato nel quadro generale.

Un personaggio al quale ti ispiri e per il quale vorresti realizzare qualcosa?
Le donne e gli uomini che mi ispirano sono tanti e molti di essi sono apparsi via via sul mio percorso. Credo che la gente migliore, come per la visione, vada continuamente messa alla prova e a me piacciono le persone generose, quelle che hanno una scintilla. Dopo un decennio di lavoro (che pare essere stato intenso come un secolo) sembra di essere ad un nuovo inizio e molte cose che andavano bene al mio esordio devono essere riconsiderate con maggiore frequenza. Ma questo avviene anche con le persone e non vuol dire essere cinici o inquieti, ma significa circondarsi di individui con i quali condividere stimoli capaci di tirar fuori il meglio di noi stessi. Siamo il risultato di infinite connessioni, conosciamo la nostra origine, ma la direzione va verificata di volta in volta e quindi se da un lato dobbiamo accogliere (e poi selezionare) tutto ciò che arriva di conseguenza ci viene chiesto di muoverci, di uscire, di spingerci in mare aperto, per scorgere tutte le opportunità che passano sotto questo cielo stellato.
Ci vuole un equilibrio folle tra tecnica e istinto, tra intuizione e fede ed io cerco le sensazioni primarie, quel sussulto positivo, quella voglia di fare le cose ben fatte, proprio perché vorrei vivificare il mondo, espandere le possibilità di dialogo, accendere il mio fuoco con tutte le sue fragilità ed errori, magari proprio per quel personaggio oggi senza nome che un giorno, presto o tardi attraverserà la mia strada.

Hai uno spazio tuo?
Ho uno studio a Ripatransone, nelle Marche. Si affaccia sul mare, è comodo e versatile ed ha una grandissima atmosfera per lavorare e concentrarsi. Gli amici lo chiamano il santuario e l’idea non mi dispiace. Qualche settimana fa invece è stato il set per una campagna pubblicitaria di un noto brand di moda. Potete dunque capire in quanti modi possa essere percepito…

I tuoi progetti futuri? Mostre, lavori, collezioni, etc…
I veloci cambiamenti della società, hanno portato una gran confusione anche nel mondo dell’arte, con tante proposte che si dichiarano di “tendenza” perché strizzano l’occhio quello che avviene all’estero e situazioni che si spacciano per alternative per pretendere quel bollino di autenticità che fa sentire al sicuro. Di fondo si è ridotta l’attenzione verso un’arte di ricerca, specie quando si tratta di una ricerca silenziosa di contenuti più che di forma. In questa realtà ho preferito concentrarmi sulla pittura più che sul numero di eventi, per dedicare le energie a progetti più impegnativi e allo studio. Sto realizzando dei libri d’artista, pezzi unici con al loro interno centinaia di piccoli dipinti e disegni. Cerco la preziosità e la cura nei dettagli proprio come quei volumi che un tempo venivano realizzati completamente a mano e che ora oltre ad essere inestimabili sono praticamente introvabili. Nel momento delle provocazioni e delle mostre blockbuster mi sembra significativo tornare a parlare di cose intime, nel tempo delle super produzioni sento un richiamo alla manualità estrema fatta di attenzione per ciò che invece (tranne per quel pezzo originale) non potrà essere diffuso.

Contatti, potresti lasciarceli nel caso in cui volessi essere contattato da qualcuno o per qualche collaborazione?
Le persone che sono arrivate a leggere questa intervista sapranno anche trovare i miei contatti, così come per le collaborazioni sono aperto a qualsiasi tipo di progetto che sia in grado di offrirmi nuove intuizioni e stimoli. Mi piacciono le persone dinamiche quindi valuto sempre le proposte e le iniziative di ogni tipo.

Ci sono lavori che svolgi su commissione?
Mi interessa lavorare sullo sguardo, sulla conoscenza del volto, sul rapporto dal vero col soggetto, cercando di cogliere le emozioni fondamentali. Spesso i ritratti sono lavori su commissione, ma per me sono nuove opportunità di affacciarmi da finestre che non avevo considerato, dalle quali scorgere vette o abissi sconosciuti. E poi credo che il futuro dell’arte, non sia nelle immagini shock o nei lavori di documentazione, quanto nel volto delle donne.

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